Sabato scorso ho sfidato il caldo afoso di giugno per visitare Edit Napoli, una nuova fiera dedicata ai designer makers, coloro cioè che curano ogni fase del progetto, dal concept alla produzione, dal branding alla distribuzione. Oltre 60 espositori nelle magnifiche sale del Complesso di San Domenico Maggiore a Napoli, un mix sorprendente tra location ed esposizione.
Sono davvero felice di raccontare la prima edizione di Edit Napoli, un evento pieno di bellezza e con un fortissimo legame con la storia e l’identità artigianale e creativa di Napoli.
Il concept di Edit Napoli
Ideato e curato da Domitilla Dardi ed Emilia Petruccelli – rispettivamente curatrice della sezione design del MAXXI e fondatrice della Galleria MIA di Roma – Edit Napoli ha un concept ben chiaro: promuovere e supportare piccole produzioni non industriali selezionate per mettere in contatto buyer e designer, produttori e artigiani.
Ho letto molti articoli su queste due donne che hanno deciso di scommettere sul design d’autore, mantenendo forte e vivo il legame con la città: “Napoli, lontana dalle rotte più conosciute della geografia del design, ma allo stesso tempo viva e contemporanea, internazionale e interculturale, è il posto giusto per insediare un progetto che guarda lontano nel tempo e nello spazio, che scommette nell’industria culturale e creativa“.
Designer selezionati e una collezione Made in Edit
I designer sono stati selezionati in base a tre elementi: affordability, un prezzo congruo rispetto al lavoro svolto, editorialità, per dare spazio a chi non produce su scala industriale, riproducibilità, oggetti pensati per essere riprodotti all’infinito ma sempre in modo artigianale.
In programma anche una collezione Made in Edit, realizzata nei mesi scorsi dal designer libanese Khaled El Mays, dall’americano Reinaldo Sanguino e dal duo italiano Faberhama, in collaborazione con artigiani campani.
Una storia dietro ogni oggetto
Ho fatto una piacevole passeggiata nei corridoi di San Domenico Maggiore, residenza che ha ospitato in passato personaggi illustri come Tommaso D’Aquino e Giordano Bruno, fermandomi a chiacchierare con numerosi designer, tutti disponibili a raccontare le proprie creazioni.
Così ho scoperto i vasi di Andrea Anastasio per Ceramica Gatti con grosse corde di nylon che ricordano la fatica contadina, la bellezza della materia nella collezione Lapidea di Gaetano Di Gregorio, la ricerca dei piatti della tradizione di Emanuela Sala per Piatto Unico, le suggestioni esotiche che la designer olandese Sarah Anne Rootert trasforma in sorprendenti intarsi su tavolini lignei, l’attenzione per le materie prime della collezione in edizione limitata dello showroom napoletano Spazio Materiae con gli oggetti per la tavola di Sara Farina, le sculture mobili del collettivo The Ladies Room e il pannello tessile realizzato in esclusiva dall’architetto napoletano Giuseppe Di Costanzo.
Queste e tante altre storie che è stato possibile ascoltare con calma, in una fiera improntata al piacere del bello senza stress e location da rincorrere, proprio come era nelle intenzioni dell’organizzazione:
“Preservare la dimensione umana del tempo e dello spazio per facilitare la creazione di queste connessioni virtuose tra chi crea, chi produce e chi acquista”.
Fonte intervista
Gli eventi collaterali
Durante la fiera ci sono stati altri eventi interessanti: gli EDIT Talks, curati da Marco Petroni e ispirati ai rituali partenopei (O café e Design kitchen) e EDIT Table by Food Confidential, a cura di Nerina Di Nunzio, piattaforma che avvicina chef e imprenditori del mondo della ristorazione a designer, artigiani e aziende.
Una fiera che sicuramente riserverà tante sorprese anche per il 2020. Proprio prima di pubblicare il mio articolo, ho letto queste parole sul profilo Instagram di Edit Napoli: An american journalist wrote: could Napoli’s first design fair help turn Southern Italy into a design hub? We don’t know yet but we are doing our best.
Come molti altri appassionati ed esperti di design, me lo auguro davvero. So, let’s stay tuned!
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